Quando il credo diventa violenza
Quando si parla di civiltà, i principi su cui si basa sono collaborazione, compromesso e tolleranza. Vivere in una società comporta anche doveri, come rispetto degli altri e di se stessi, delle loro e nostre libertà. Quando questo dovere non viene rispettato, si passa ad azioni di zero tolleranza: è ciò che succede nel caso delle mutilazioni genitali femminili.
La storia ci mostra più di un'occasione in cui le donne sono state punite per essere padrone dei propri corpi, specialmente in ambito sessuale. Ragazze che non vogliono sposare chi viene scelto dai genitori vengono uccise, donne che scelgono con chi avere rapporti devono temere di non essere più “degne” di un matrimonio “per bene”. La Bibbia stessa riporta che la lapidazione è la giusta punizione per l’adulterio femminile: se una donna decide di tradire il marito (o se viene violentata, per quanto vale), invece di parlarne e magari divorziare, deve essere punita con la morte. Diciamocelo, non una morte piacevole. Un atto condiviso dalla comunità che continua a lanciare pietre, portando altre donne a punire la peccatrice e inculcando l’idea che tradire il marito sia proporzionale alla morte. In generale, il fatto che le donne possano fare sesso per provare piacere viene demonizzato. La maggior parte dei termini dispregiativi in ambito sessuale - soprattutto nella lingua italiana - risultano, tuttora, essere femminili. Mentre gli uomini che fanno sesso, che si divertono, sono visti come una normalità, sono incorniciati nella visione comune come un qualcosa di normale, senza alcun difetto.
Se la storia insegna, a noi starebbe imparare.
Eppure, almeno 200 milioni di donne attualmente vive sono state soggette alla pratica della Mutilazione Genitale Femminile (FGM). Essa è descritta dall’ONU come “tutte le procedure che mirano all’alterazione dei genitali femminili per motivi non medici”. Attualmente, è una pratica ancora largamente diffusa in Africa, parte dell’Asia, Europa e America: in Somalia, il 98% delle donne tra 15 e 49 anni è stato sottoposto a FGM, mentre in Indonesia è successo alla metà delle ragazzine al di sotto degli 11 anni. Nonostante sembri assurdo, la maggior parte delle donne sottoposte a questa pratica sono bambine al di sotto dei 15 anni. La ragione prevalente dietro la giovane età a cui avviene la mutilazione è principalmente evitare che le ragazze capiscano a cosa serve il proprio corpo, e quindi non abbiano nessun motivo concreto per opporsi, vedendola come qualcosa che viene “fatto per loro”. Non è difficile comprendere che, a un’età così tenera, non è certo la bambina a decidere: la scelta è spesso imposta dai genitori. Il padre cresciuto con la mentalità dell’uomo padrone e della donna sottomessa; e la madre, sottoposta alla stessa pratica a suo tempo, indottrinata nell’idea che forse sia più giusto così. In ambienti del genere, spesso manca alle donne il tipo di stimolo esterno giusto per far capire loro che ciò che subiscono è sbagliato, che non è questa la vita che devono vivere solo perché nate femmine. In questi casi, la mancata globalizzazione gioca un ruolo chiave: un corretto tipo di informazione riuscirebbe a far capire alle madri che le figlie non sono tenute a subire ciò che loro stesse hanno subito, che la vita può essere diversa.
Se essere una pratica discriminatoria e barbarica che nel terzo millennio dovrebbe essere estinta non bastasse, questo tipo di “operazione” comporta problemi non indifferenti alla paziente che la subisce. Oltre alle conseguenze a breve termine come sanguinamento, dolore localizzato e difficoltà nell’urinare, può causare infertilità e innalzare il rischio di morte durante il parto. Una volta tolto il diritto alla scelta sul proprio corpo, la vita della ragazza è messa a rischio per le infezioni, e potrebbe essere completamente compromessa dall’incapacità di avere figli a seguito della procedura. Eppure, tuttora questa tradizione radicata nella diseguaglianza continua, e non sembra avere intenzione di fermarsi.
Sempre l’ONU definisce le FGM come una violazione della dignità della persona, del diritto alla vita, alla libertà, alla non discriminazione, alla salute fisica e mentale, sia a breve che a lungo termine. Per molte culture sono viste come parte integrante del rito di passaggio dall’età bambina all’età adulta, assicurando alla donna la piena appartenenza alla società. Tuttavia, si concretizza in uno strumento di sottomissione femminile che mette a rischio anche il futuro delle più giovani, incentivando l’abbandono scolastico e il matrimonio precoce. Non vi sono reali benefici, ma solo rischi e danni.
L’agenda dell’ONU 2030 portava tra gli obiettivi la completa abolizione delle FGM. In generale, la situazione mondiale delle donne è andata aggravandosi durante la pandemia da Coronavirus: l’incidenza degli episodi di violenza domestica è aumentata, il gender gap è andato aumentando… E le mutilazioni genitali femminili sono di nuovo in crescita. In coordinazione con l’UNICEF è stato deciso di includere misure contro queste pratiche nella risposta alla crisi umanitaria post-pandemia. I fondi stanziati dall’agenzia sono principalmente mirati a campagne di sensibilizzazione, specialmente in una più corretta educazione sessuale da fornire nelle comunità a rischio.
L’educazione è l’unico modo possibile per eradicare il problema. Non è un obiettivo facile cambiare la mentalità di intere comunità, e sicuramente non è qualcosa di rapido da perseguire. Eppure, è l’unico modo per garantire che milioni di ragazze ogni anno non soffrano più tali barbarie.
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