Cosa intendiamo con questa parola apparentemente tanto elegante? La definizione è la seguente: il benaltrismo è un espediente retorico che consiste nell'eludere un tema o un problema posto in una discussione, adducendo semplicemente l'esistenza di altre problematiche più impellenti o più generali, spesso senza chiarirle specificamente.
In pratica come quando tua mamma ti diceva: “Ma cosa sarà mai mangiare la minestra, ci sono altri problemi al mondo, pensa ai bambini in Africa”.
L’atteggiamento è lo stesso, ma più in grande, esteso a ogni campo.
Si tratta di evitare le nostre responsabilità, di invalidare le sofferenze e i problemi altrui in nome di queste presunte grandi problematiche che, come tutto ciò che è misterioso, sono tanto più potenti quanto più sono vaghe.
Abbiamo già capito che il benaltrismo è una scusa.
Una scusa che spesso si usa per evitare di agire, per evitare di cambiare, crescere, imparare.
Le situazioni in cui questo grande eroe dell’elusione si presenta sono le più varie: dal cambiamento climatico, all’uso corretto dei femminili per le professioni, i diritti umani, la stigmatizzazione della salute mentale, il salary gap e ancora e ancora.
Tali situazioni non possono essere analizzate tutte, quindi oggi daremo uno sguardo al benaltrismo messo in atto in quelle più banali, che fanno nascere la domanda spontanea: ma cosa ti costa?
Sì, per carità, sarebbe molto più carino parlare di tutte le motivazioni ideologiche, morali che muovono una certa azione, ma a volte un tale convincimento non è necessario, è una questione di rispetto reciproco.
Faccio un esempio per spiegarmi meglio.
Siamo al politecnico e tra di noi ci sono molte ingegnere.
Ora immaginatevi questa interazione tipo: una di noi dice di essere ingegnera e che vuole essere chiamata ingegnerA non ingegnerE.
Il suo amabile interlocutore risponde con: “Ma ci sono ben altri problemi in questo momento.”
A cui ləi, ovviamente, tiene con tutto il cuore, infatti nella pausa pranzo vola sul suo cavallo alato per sconfiggerli di suo pugno.
Le motivazioni per cui si dice ingegnera le so io, le sapete voi (se non è così fate finta per questa ultima parte di articolo poi andate a vedere), ma il punto è un altro.
Ovvero: cambiare una vocale è così tanto una fonte di turbamento? Cosa costa? Cosa costa decidere di essere una persona più rispettosa nei confronti degli altri?
In fondo sì è vero ci sono ben altri problemi, più grandi, più urgenti, più gravi e proprio per questo motivo, spesso sfuggono dal nostro controllo.
Ci sono problematiche che invece possiamo risolvere in prima persona in un battito di ciglia, o possiamo chiedere di risolvere proprio perché hanno in sé già la soluzione.
Faccio un’altra analogia, come avrete capito mi piacciono molto.
Tua sorella o fratello va a prendere un suo libro in camera e voi chiedete molto gentilmente “Mi porti il caricatore già che ci sei?”.
Ma niente. Tornano con il loro libro e senza caricatore, anche se era nella stessa stanza in cui sono andatə, e non costava letteralmente nulla.
L’arrabbiatura è legittima.
La stessa cosa succede quando ci rifiutiamo così stoicamente di mettere in atto un piccolo cambiamento nel nostro atteggiamento, nel nostro modo di parlare, di fare.
Se ci pensiamo bene “non voglio cambiare assolutamente delle vocali finali in una parola perché se no mi viene un mancamento e penso a quanto sia succube di questi qui che vogliono restringere la mia libertà di espressione” non suona così fiero, così, come ho detto prima, stoico.
E quindi? Cosa ci hai detto in questo articolo pieno di analogie stupende?
In due parole: essere più rispettosə lə unə dellə altrə, più attentə, prontə ad ascoltare e ad imparare non ha un prezzo sull’etichetta, non c’è nulla da pagare.
Se non lo vuoi fare hai imparato come si chiama il tuo atteggiamento e se cerchi la definizione vedrai tante vignette in cui ti ci ritroverai sicuro, magari realizzi che non ha tanto senso.
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