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Lo Schwa – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi ed amare l’inclusività

Immagine del redattore: Giuseppe DonatoGiuseppe Donato


Il cervello è un organo altamente energivoro: è responsabile di circa un quinto della spesa metabolica totale del corpo umano. Un tasso metabolico così elevato comporta che i processi ad alta efficienza energetica, come le abitudini, siano naturalmente favoriti. Le routine risultano quindi molto più semplici rispetto al resto delle azioni, inoltre, essendo per loro natura ripetute di continuo, il cervello finisce per considerarle gratificanti. Di conseguenza più un’abitudine è comoda e utilizzata nel quotidiano, più diventa difficile e fastidioso cambiarla. Comprendere questo meccanismo è utile per spiegare il perché la maggioranza delle persone osteggia i vari tentativi di rendere l’italiano una lingua più inclusiva. Per dirlo con le parole di Sarah Schulman (The gentrification of the mind. Witness to a lost imagination):

“Being uncomfortable or asking others to be uncomfortable is practically considered antisocial because the revelation of truth is tremendously dangerous to supremacy. As a result, we have a society in which the happiness of the privileged is based on never starting the process towards becoming accountable.”

L’italiano, come è noto, è una lingua flessiva, di conseguenza declina per genere i pronomi, gli articoli, i sostantivi, gli aggettivi e i participi passati. Ciò pone vari ostacoli allo sviluppo di un linguaggio neutro, uno su tutti è l’uso del maschile sovraesteso come plurale utilizzato per rivolgersi a una moltitudine mista. Queste problematiche erano già chiare nel 1986, anno di pubblicazione di Il Sessismo nella lingua italiana di Alma Sabatini. In questo saggio la linguista dichiara la necessità di superare il maschile sovraesteso e sull’importanza di agire attivamente sulla lingua:

“Non vi sono dubbi sull’importanza della lingua nella «costruzione sociale della realtà»: attraverso di essa si assimilano molte delle regole sociali indispensabili alla nostra sopravvivenza, attraverso i suoi simboli, i suoi filtri si apprende a vedere il mondo, gli altri, noi stesse/i e a valutarli.”

Ad oggi sono diversi gli esperimenti tentati per introdurre una forma priva di genere: dall’asterisco alla chiocciola, passando per la u fino ad arrivare alla schwa. Queste soluzioni, nate in seno alle comunità femministe e queer, sono utilizzate per rivolgersi ad una moltitudine mista o ad una persona che non si riconosce nel binarismo di genere, assumendo quindi anche una dimensione intersezionale.

Prendendo in considerazione tutti questi elementi, ma tenendo conto anche di tutti i limiti e difetti che queste proposte comportano, come PoliHERo abbiamo deciso di adottare lo schwa nei nostri articoli, credendo che un’associazione femminista instersezionale sia il posto più adatto per condurre esperimenti politici e linguistici. Tuttavia, rispettando le linee guida indicate dai promotori (Italiano Inclusivo), la presenza dello schwa sarà limitata al minimo indispensabile, preferendo, quando possibile, formulazioni alternative come il ricorso a termini semanticamente neutri.

Siamo consapevoli che lo schwa non è la soluzione perfetta ma abbiamo la forte convinzione che la capacità di una lingua di indicare con precisione lə suoə parlantə e la realtà che lə circonda possa essere fondamentale per migliorare la società in cui viviamo. È per questo motivo che abbiamo deciso di scrollarci dal torpore delle nostre abitudini, smetterla di preoccuparci, ed amare lo schwa.


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