Contando cinque candidature ai premi Oscar del 2021 e la vittoria nella categoria migliore sceneggiatura originale, “Una donna promettente” di Emerald Fennell è sicuramente uno di quei film che dopo averlo guardato non puoi far altro che ripensarci. Cassie, la protagonista, era una studentessa di medicina, una delle migliori del corso, la vita sembrava avere in serbo per lei un futuro davvero promettente, fino a quando la sua migliore amica Nina non vive il peggior incubo di ogni ragazza: un suo compagno di corso, il più popolare del college, si approfitta di lei, ubriaca, ad una festa davanti a tutti i suoi amici. Dopo quell’evento traumatico, Cassie ogni weekend va in un bar fingendosi ubriaca e puntualmente un bravo ragazzo si avvicina a lei con la scusa di volerla aiutare, per poi portarla a casa e approfittarsi di lei. A quel punto Cassie rivela il trucco, ammettendo di essere sobria, e segna ogni “preda” su un suo taccuino.
Il film presenta tematiche davvero forti quali il desiderio di vendetta, la violenza fisica, la colpevolizzazione della vittima, il senso di colpa e la sete di giustizia. Ogni sentimento, ogni desiderio è riflesso nella magistrale interpretazione di Carey Mulligan, l’attrice che interpreta Cassie.
A rendere questo film particolarmente accattivante sono i colori accessi, le canzoni allegre e un’estetica degna della più felice commedia, tuttavia ogni volta che viene affrontato l’argomento che vede Nina come vittima, non c’è atmosfera che riesca ad attenuare la fitta al cuore che si prova nel guardarlo.
A differenza, però, dei classici film in cui c’è il cattivo, lo si riconosce dalla prima scena, in “una donna promettente” l’aspetto che forse più spaventa è il fatto che ogni persona che commette uno stupro, che ogni uomo che cerca di approfittarsi di una donna ubriaca, egli è convinto al 100% di essere un bravo ragazzo, di non star facendo niente di sbagliato, si racconta la storiella del “se non voleva questo non si sarebbe dovuta ubriacare in un bar da sola”.
È la perpetuazione della narrativa “boys will be boys”, perché loro non hanno intenzioni cattive, vogliono solo divertirsi, e non si rendono conto del segno indelebile che lasciano nella vita delle vittime.
Nina nel film non è mai riuscita a superare l’accaduto, non è riuscita a sopportare l’indifferenza di tutti, il fatto che nessuno le abbia creduto; non è riuscita ad accettare l’assenza di provvedimenti da parte di chi avrebbe dovuto proteggerla, sentendosi dire che non potevano rovinare la carriera di un promettente medico sulla base di semplici accuse. E Cassie non è mai riuscita a perdonarsi la sua impotenza, la sua incapacità di aiutare Nina, non è riuscita a sopportare la vista della sua amica che non riusciva più ad essere se stessa, segnata troppo nel profondo da quello che le era successo.
E anche se nei titoli di coda non c’è il disclaimer “ispirato da una storia vera”, non è un segreto che la storia di Nina, di una vittima ignorata, è in realtà la storia di migliaia, se non milioni, di donne che subiscono e che, spesso, non parlano per paura di non essere ascoltate. Guardare un film del genere e riuscire a non associarlo ad eventi reali sarebbe un sogno, ma la strada è ancora lunga e piena di ostacoli.
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