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#ZOOMIN: UNA GIUSTA CAUSA

Nada Khaled Mansour

“Non le stiamo chiedendo di cambiare il paese, ciò sta già accadendo senza il permesso di nessuna corte. Le stiamo chiedendo di proteggere il diritto del paese di cambiare”.

Il cambiamento parte sempre, ed è sempre partito, da dentro, dalla società, dalle abitudini della gente. Il cambiamento della legge è solamente la conseguenza naturale della profonda trasformazione dei valori e delle priorità della popolazione. “Prima cambia le idee, poi cambia la legge” è il consiglio che Dorothy Kenyon, mentore e punto di riferimento per quanto riguarda l’ingiustizia della legge americana tra gli anni ‘50 e ‘70 del 1900 della protagonista, Ruth Bader Ginsburg, de “Una giusta causa”, dà alla stessa nel momento in cui si trova ad affrontare il suo primo caso.


“Una giusta causa” è un film del 2018 che racconta la storia della prima donna ad entrare a far parte della Corte Suprema americana, Ruth Bader Ginsburg. Riprende la sua storia dall’inizio, da quando ancora frequentava la scuola di legge di Harvard, una delle poche donne anche in quel contesto; così poche che il bagno delle donne non esisteva ancora quando frequentava i corsi. Il film riprende la vita di Ruth a 360°: di lei prima come studentessa e poi come professoressa, delle sue difficoltà ad acquisire credibilità e trovare un lavoro come avvocatessa, ma anche di lei come moglie e come madre, del supporto che lei è per suo marito Martin e del supporto che lui è per lei, dei conflitti con i figli, soprattutto da adolescenti. Ogni parte della sua vita è parte della pellicola, in maniera tanto realistica quanto eroica.


Ogni fallimento, dal rifiuto di trasferimento da parte dell’università di Harvard, perché il suo caso non è paragonabile ai suoi precedenti uomini di Harvard, alla difficoltà di trovare il lavoro dei suoi sogni nella grande mela, perché una donna giovane e bella potrebbe innescare le gelosie delle mogli dei suoi colleghi avvocati, ogni fallimento sembra mirato alla crescita del personaggio, alla rimozione graduale del velo di innocenza e ingenuità che copriva gli occhi di Ruth.


Oltre a dipingere in maniera magistrale l’amore per la giustizia che sia Ruth che Martin provano, riesce anche a creare il ritratto della famiglia perfetta. Ma non la famiglia del Mulino Bianco, in cui si è sempre felici e senza problemi, ma una famiglia che i problemi li sa affrontare a risolvere, come una squadra. In ogni scena che cattura le interazioni tra i due coniugi traspare l’amore e il profondo rispetto, quasi ammirazione, che i due provano per l’un l’altro. La fiducia nella capacità dell’altro, la preoccupazione e i dolori condivisi, perché è una vita che hanno scelto di vivere insieme.


È proprio Martin, infatti, a dare la possibilità a Ruth di lavorare ad un caso di discriminazione di genere, in cui viene negata ad un uomo la possibilità di ottenere una detrazione fiscale per la cura che offre alla madre ormai anziana, solo perché è un uomo che non si è mai sposato. E per quanto estenuante sia il lavoro e per quanto esigue sembrano essere le possibilità di vincere la causa, la coppia non smette mai di crederci, non ha intenzione di rassegnarsi all’idea che non esista modo di far giustizia non solo per il loro cliente, ma per tutte quelle persone discriminate dalla legge, dallo Stato americano, per il loro sesso.


Nonostante la storia di Ruth risalga a molti, anche se non troppi, anni fa, non è difficile riconoscere la nostra società in quella degli Stati Uniti di quegli anni. Non è difficile vedere come le nuove generazioni abbiano sempre a cuore la giustizia per chi, da sempre viene discriminato. E non è difficile, purtroppo, neanche riconoscere nella nostra società chi si oppone al progresso, all’inclusione quando si tratta di dare diritti a chi non ne ha, di dare voce a chi non ne ha.


La battaglia di Ruth, o della figlia Jane, o degli studenti a cui Ruth ha fatto da professoressa, è la stessa battaglia che ancora oggi si combatte, in maniera diversa, forse, ma con alla base gli stessi principi e ideali: di un mondo più inclusivo, un mondo più giusto, almeno davanti alla legge.


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